Una mostra a cura di Alice Vangelisti
con il Patrocinio di Comune di Iseo
In collaborazione con Associazione falìa*
Con il supporto di Poliedro Studio, Le Giraffe Noleggi e Liceo Artistico A. Frattini – Varese
La nostra esistenza è inevitabilmente segnata da una serie di tracce, in costante bilico tra una fuggevole presenza e un’assordante assenza. Emblema di questo dualismo è un corpo, che nel tempo lascia un segnale del suo passaggio, restando così sospeso tra le fragili pieghe della memoria. Ma come catturare questi attimi effimeri? Come cristallizzarli per non perderli del tutto? Oppure, ancora, è forse il nostro compito quello di lasciarli fatalmente andare?
In questo delicato equilibrio, tra il passato che insiste e il presente che fugge, le voci di Federica Ferzoco, Federica Tavian Ferrighi e Marta Vezzoli ci narrano spazi di riflessione profonda sul rapporto tra il tempo, la memoria e l’identità. Attraverso i materiali fragili e delicati, tipici della ricerca di ciascuna, tessono così un racconto che interroga la nostra condizione di esseri temporali e finiti, sospesi tra il desiderio di lasciare una traccia e l’inevitabile consapevolezza della nostra caducità. Le loro opere – per certi versi così distanti nella tecnica, ma così vicine nell’essenza – ci invitano così a riflettere su come questi segni non solo documentino la nostra esistenza, ma partecipino a tutti gli effetti alla costruzione della nostra identità e memoria collettiva. La traccia è infatti un concetto che attraversa la storia dell’umanità come un filo sottile, tanto effimero quanto essenziale. È una memoria impressa nel mondo, è un tentativo di dialogare con ciò che non c’è più e di fermare il tempo – o quantomeno di farlo rallentare. Le tre artiste costruiscono in questo modo i loro lavori come se fossero delle epifanie della loro personale – e in senso lato anche universale – conversazione con il tempo, in cui la materia stessa si fa testimone e strumento per imprimere tracce che sfuggono, si dissolvono, ma non per questo perdono significato. Ogni segno ci ricorda infatti che esistiamo solo in relazione a ciò che lasciamo dietro di noi. L’arte, in questo senso, diventa un rito, un modo per celebrare ciò che non c’è più, ma che continua a vivere nei segni che ha lasciato. E in queste manifestazioni, forse, possiamo trovare una risposta alla domanda più antica e più umana di tutte: chi siamo noi, nel tempo che scorre? Ogni traccia che lasciano è infatti una forma di resistenza contro l’oblio, eppure è anche una celebrazione dell’impossibilità di fermare il fluire del tempo, come se la vera bellezza stesse proprio nell’impossibilità di arrestare il passaggio degli istanti. Ed è proprio in questa tensione tra la volontà di trattenere il passato e l’accettazione della sua inevitabile dissoluzione che si inscrive il lavoro delle tre artiste, creando così un dialogo intimo tra la presenza che si fa segno e l’assenza che persiste, come un eco che non smette mai di vibrare nell’eterna evocazione di una danza tra tempo e memoria. Ma le loro opere non sono solo riflessioni sul tempo e sulla traccia, bensì dei veri e propri atti di resistenza contro l’oblio. Ogni segno che lasciano è un tentativo di trattenere qualcosa che sfugge, di dare forma a ciò che è effimero. Eppure, al tempo stesso, queste opere ci ricordano che il nostro compito non è quello di fermare il tempo, ma di accettare la sua inesorabile fluidità, di trovare bellezza proprio nella fragilità delle tracce che lasciamo, perché, per quanto effimere, sono parte del flusso della vita. Il lavoro di Federica Ferzoco si radica nel corpo – o meglio in involucri che si portano con sé i tratti tipici dell’umano, seppur evanescenti e quasi spersonalizzati. Utilizzando le garze, l’artista imprime, infatti, i segni di corpi che non vediamo, ma che in questo modo si fanno present nella loro assenza. Le sue opere sono involucri che abitano il mondo parallelamente alla nostra vita tangibile e ordinaria, tracce sottili di una presenza intima che ci sfugge, ma che a tutti gli effetti fa parte di noi. È impossibile, però, non pensare, di fronte a queste opere, alle impronte lasciate dalle vittime dell’eruzione del Vesuvio, corpi congelati in un istante di eterno addio, le cui sagome sono state impresse nella cenere come testimonianza di un’altra vita, parallela a quella reale che ora è solo memoria silente. Le garze di Ferzoco allo stesso modo tessono un linguaggio silenzioso che rivela la bellezza e il significato dell’assenza, conservando una traccia intima e potente dell’umano e offrendoci una riflessione silenziosa sulla dualità intrinseca dell’individuo, intrappolato inesorabilmente tra essere e non essere. In questo senso, il filosofo sudcoreano Byung-Chul Han, nel saggio La scomparsa dei rit, riflette su come la modernità, nella sua corsa verso il futuro, abbia smarrito la capacità di celebrare l’assenza attraverso il rito. Per Han, i riti non sono altro che forme attraverso cui si rende visibile ciò che non c’è, si celebra l’invisibile e si rende omaggio all’assenza. Le opere di Ferzoco incarnano questa stessa tensione: sono riti silenziosi di ricordo, tentativi di fissare un’assenza concreta – ma non per questo non presente nella nostra interiorità – e trasformarla in un segno tangibile. In ogni garza c’è infatti il tentativo di plasmare un corpo intimo oltre il reale, di imprimerne nel mondo una memoria attraverso tracce vuote ma pur sempre cariche di identità.
Il lavoro di Federica Tavian Ferrighi sembra invece emergere dalla terra stessa, chiamata dall’artista a dipingere direttamente le proprie tracce con le sue abili – e spesso imprevedibili – mani. In questo modo, l’artista cerca di catturarne l’essenza, permettendo che sia la natura stessa a narrare le sue storie. I tessuti diventano così come delle pelli organiche, superfici vive che assorbono i segreti dei suoi elementi essenziali, mentre i calchi, con i loro rilievi e avvallamenti, sono come orme lasciate che parlano del suo continuo divenire. In questo modo, ogni elemento che si imprime attraverso questi materiali porta con sé una memoria che si radica nel tempo e nello spazio, in composizioni che si fanno a tutti gli effetti testimoni silenziosi della natura che come una madre generosa, ci dona i suoi segni per ricordarci la sua ciclicità ed eternità. L’artista non fa altro che ascoltare questo mormorio silenzioso, lo accoglie con la sua pratica e così facendo ci restituisce le tracce di una memoria collettiva che va oltre il tempo finito dell’umano, fondendosi invece con l’eterno fluire della natura. Ogni segno impresso è così un dialogo intenso con la terra, un tentativo di afferrarne la sua capacità di lasciare segni e al contempo cancellarli, in un ciclo infinito di creazione e distruzione. In questa conversazione visiva con la natura, si può richiamare anche la riflessione di Maurice Merleau-Ponty, secondo la quale la materia è la traccia viva del nostro rapporto con il mondo. Non esiste infatti una separazione tra corpo e mondo: il corpo altro non è che una estensione della natura stessa e attraverso di esso noi percepiamo, comprendiamo e lasciamo segni nel mondo. Così, i lavori di Tavian Ferrighi non sono solo superfici, ma estensioni della terra, della pelle del mondo, e ogni traccia impressa diventa un segno di questo dialogo eterno tra umano e naturale, effimero ed eterno.
Il lavoro di Marta Vezzoli si muove infine tra luce e ombra, tra presenza e assenza, trovando nella fragilità del filo di ferro e dei ricami su garza una metafora del tempo stesso. Le sue opere, come leggere architetture temporali, sono fatte per essere osservate nell’interazione con la luce, che trasforma le linee sottili in ombre fugaci, creando una coreografia visiva che muta con il passare delle ore. In queste installazioni, il tempo non è più un’entità astratta, ma diventa visibile, tangibile, quasi afferrabile. Queste composizioni, così, pur nella loro solidità materiale, diventano fragili come il tempo che scorre, come un ricordo che sfugge tra le dita. Ogni creazione di Vezzoli è in questo senso un delicato arazzo intessuto nella trama invisibile del tempo in grado di riflettere la transitorietà del momento e la sua perpetua metamorfosi. È però un tempo da intendere come nel pensiero di Martin Heidegger, il quale lo identifica non come una successione di momenti, ma piuttosto come un’esperienza vissuta che si intreccia con il nostro essere nel mondo. Heidegger parla infatti di un tempo autentico, un tempo che non si misura in minuti e secondi, ma nel fluire dell’esperienza, nel modo in cui l’essere si dispiega nel mondo. Le opere di Vezzoli, con i loro sottili giochi di luce e ombra, evocano in qualche modo questo tempo autentico: un tempo che non si può fermare, ma che si può percepire attraverso i segni che lascia. In questo senso, le sue installazioni diventano metafore della vita stessa, anch’esse sospese tra presenza e assenza, tra ciò che è visibile e ciò che non lo è, in una danza unica e irripetibile al ritmo del tempo.
Federica Ferzoco
Federica Ferzoco, vive e lavora a Milano dove ha conseguito il Diploma di Maturità Artistica al Liceo Astistico Statale I°, il Diploma Accademico in Scultura all’Accademia di Belle Arti di Brera, il Diploma di 2° Livello a indirizzo Didattico all’Accademia di Belle Arti di Brera e il Master in Counseling Costruzionista presso il Centro Formazione-Studio, Dott. Masoni. E’ docente di Discipline Plastiche, Scultoree e Scenoplastiche al Liceo Artistico di Brera, Milano.
Opere in esposizione permanente/acquisizioni sono presenti presso: Biblioteca Cantonale, Lugano, Fondo Carminati; Villa Greppi, Monticello Brianza; Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; Biblioteca Braidense, Milano; Parco San Giovanni – Parco delle Idee – Ex Ospedale Psichiatrico, Trieste; Oasi naturalistica del torrente Farfa, Montopoli in Sabina (RI); MAPP Museo d’Arte Paolo Pini, Milano; TARGETTI ART LIGHT, Firenze.
Ha esposto in mostre personali e collettive in gallerie e musei, a residenze artistiche in Italia e all’estero. Ha vinto il premio fotografico CORPO MATERIA, sezione ACQUA. Metabolé, Venezia; il premio per l’intervento d’arte per il Complesso San Giovanni – Parco dell’Arte, indetto dalla provincia di Trieste; il premio “Targetti Art Light”.
Ha partecipato alla Masterclass di arte pubblica “Dell’acqua e della luce” con Grazia Varisco e Ylbert Durishti. Isola Borromeo di Cassano d’Adda; alla conferenza “L’altra metà della Scultura” a cura di Maria Fratelli, Studio Museo Francesco Messina, Milano.
Bio completa al sito: www.federicaferzoco.it
Instagram: federica ferzoco
Federica Tavian Ferrighi
Nata nel 1976, a Lendinara, nella terra dei cavalli, tra i due fiumi della grande pianura italiana.
FTF si laurea in Arti Visive allo IUAV ed in scultura all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Dopo aver conseguito l’abilitazione all’insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Brera ed un master in storia dell’arte contemporanea alla Facoltà Complutense di Belle Arti di Madrid, continua le sue ricerche in Svezia, Spagna, Messico e Brasile. Queste esperienze l’hanno portata ad esporre e condurre workshops educativo-artistici presso la Universidad Autónoma del Estado de México y del Estado de Morelos in México, oltre a partecipare a seminari come La acción, la representa-acción y la vida-ordinaria en el Laboratorio de Arte y Acción, MECAD (Media Centro de Arte y Diseño de la escuela superior de Diseño ESDI) en Barcelona o fare ricerca al Royal Institute of Art di Stoccolma, Svezia. In Italia e all’estero FTF ha esposto e preso parte a residenze artistiche, l’ultima delle quali presso il centro TerraUna in Minas Gerais (Brasile), dove ha potuto sperimentare l’essenza della foresta.
Dal 2006 è docente di progettazione in arti figurative al Liceo Artistico di Padova ed il suo lavoro artistico si fonde con il lavoro didattico/educativo. Artista dedicata ai temi di genere, sociali ed ecologici lavora sui binomi pubblico/privato, luce/ombra, trasparenze/strutture, parola/azione. Federica ricerca e sperimenta, spesso l’incipit è la narrazione mitica portata al contemporaneo, analizza l’aspetto sociale e culturale di un luogo e di un territorio, iniziando dalla mappa e dalle convivenze in essa contenute. La casa, la piazza, la via, il territorio, divengono trama e tela contemporanea. Le sue video-interviste, i dibattiti organizzati con persone che lavorano sul territorio in modo poliedrico, sono al cuore di ciò che intende evidenziare e presentare con le sue installazioni e forme. Il suo lavoro è un viaggio attraverso il mondo, le culture e il territorio, tanto urbano quanto naturale, una geografia che denuncia, propone e ricama intimamente.
Ha realizzato installazioni dedicate a mappe, tele e alchimie con tinture naturali, disegni, ricami, performances, sculture e workshops dedicati alla Geografia Madre e all’educazione. con i progetti presentati alle ultime esposizioni:
l’associazione OAM e con Adaptica, start-up innovativa nelle tecnologie ottiche.
Creative a Milano.
www.federicatavianferrighi.com
Marta Vezzoli
Brescia (IT) ’76. Diplomata all’accademia di Brera in scultura, esordisce nel ’98 con la collettiva Tras los pasos de Llorca. Casa de Garcìa Lorca en Valderrubio – Granada, cui seguiranno tante altre tra cui La via italiana all’informale – Venezia, Ut poesi pictura – Ferrara, Saatchi screen at Saatchi Gallery – Londra, Art de Mai – Manosque (FR).
Tra le personali più significative: Tele Trame Tessuti, fabbricapoggi Pavia (2024), Urgenti Attese, E3artecontemporanea, Brescia (2017), Kostant schwebend, Bipolar Galerie – Leipzig (2015), Confini d’Identità, Massenzio Arte – Roma (2014), Tempo sospeso – OCA Officine Creative Ansaldo – Milano (2013), Legami in-dissolti – Galleria de l’Europe in Rue de Seine – Parigi (2011).
Vincitrice dei premi Massenzio Arte International Prize e Symposium of Land Art. Le sue scenografie sono state allestite presso lo Chateau Greoux Le Bain e il teatro Jean Le Bleu a Manosque (FR).
Partecipa alle fiere internazionali di Torino, Verona, Monaco, Barcellona, Stoccolma, Nizza, Gand e Strasburgo. Tra le pubblicazioni più rilevanti “La via italiana all’informale: da Afro, Vedova, Burri alle ultime tendenze“. Giorgio Mondadori Editore, 2013.
Marta Vezzoli traccia segni nell’ambiente, solcando le pareti o attraversando la sottile superficie della garza. Sono lavori che rivelano un approccio lento e meditato, meticoloso nel gesto come un bel ricamo, ma incisivo e nervoso come un graffio. La garza ricamata e il tondino di ferro, materiali a lei cari, rispecchiano a pieno i temi della sua ricerca – il limite, il tempo, l’identità -, rendendoli visibili e tangibili. Il lento cucire, rigorosamente a mano, è una sorta di scrittura emotiva che emerge dalla trama dei tessuti. Un ruolo fondamentale nelle opere della Vezzoli è ricoperto anche dal gioco di luci e ombre prodotto dai sottili disegni di metallo o dalla semitrasparenza della stoffa velata che crea continui chiaroscuri.
La mostra è visitabile giovedì e venerdì dalle 15:00 alle 18:00, sabato e domenica dalle 10:30 alle 12:30 e dalle 15:00 alle 18:00.
Chiusi il giorno di Natale e il 1 gennaio 2025.
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